A scuola di internet

E' di questi giorni la notizia delle scuole che hanno rifiutato la banda larga gratis. A volerla vedere tutta proprio totalmente gratis non è, perchè (com'è spiegato bene in questo articolo della brava Giulia Lotti) gli istituti avrebbero dovuto corrispondere un canone di circa 3000 euro in 5 anni. Un po' come nella proposta commerciale di un prodotto venduto a percentuale: zero investimenti all'inizio, ma un piccolo canone per l'hosting e i costi di infrastruttura in qualche modo c'è sempre. Bisogna vedere quanto impatta sull'azienda a cui si propone.

Mi ha fatto piacere l'approccio costruttivo utilizzato da blogger e analisti dei fenomeni della rete: non c'è stata una condanna sdegnata di presidi o professori e neppure la classica diatriba Nord vs Sud sull'argomento (le scuole in questione sono tutte del Sud, mi pare però secondario e se pensiamo a casi come il liceo Maiorana di Brindisi...), solo la ferma volontà di capire perchè.

La risposta a mio avviso (e non solo) è più di natura culturale che economica.

Come ha notato giustamente Chiara Spinelli in un post su Facebook, per coprire questa spesa si sarebbe trattato ipoteticamente di chiedere una cifra vicina a 6 euro per famiglia. Certo, è un momento in cui le scuole stesse sanno bene che chiedere soldi alle famiglie, tanti o pochi che siano, non è mai una cosa semplice. Ci si espone solo per i servizi primari, ed è palese che la velocità di internet NON è considerata una priorità. Le scuole più fortunate avranno le loro linee ADSL nei laboratori e magari non ritengono fondamentale migliorare la velocità di upload e download a scapito della lentezza di una lezione, altre si limiteranno a mantenere i cavi di rete nelle segreterie evitando l'uso del computer. Invece servirebbe proprio il contrario per i nostri figli, come osserva Viviana Sarti in questo articolo sui bambini e la tecnologia.

In un momento in cui anche le istituzioni sembrano accorgersi di fenomeni come il CoderDojo e il digitale crea opportunità di crescita economica anche in paesi perennemente in crisi come il nostro, ecco che proprio chi dovrebbe formare la nuova società non è messo in condizioni - e quindi non è in grado - di comprendere il valore di una rete veloce. Da qui nasce il sentimento diffuso per cui internet è identificato con l'utilizzo passivo di Facebook, i "mi piace" messi ad minchiam e un cazzeggio generale. Invece può essere un'importante elemento di cambiamento sociale, culturale ed economico di cui certamente è necessario conoscere i pericoli  (di certo quando non c'erano le auto non esistevano neanche gli incidenti stradali) ma che non si può considerare più solo come un passatempo o come un qualcosa che solo i nativi digitali sono in grado di utilizzare e comprendere.

Sarebbe sbagliato secondo me prendersela con i presidi, perchè proprio la maggior parte di loro è la prima a subire questo gap culturale e a mancare di formazione sull'argomento. Si, ma da chi dovrebbero andare a lezione?

Mi tornano in mente le parole di Lucia Annunziata all' Internet Festival di Pisa, in cui ha fatto il paragone fra il ruolo di guida culturale della BBC nel mondo anglosassone, dove bbc.co.uk è il primo sito per traffico di utenti e quello della Rai, che offre un bel servizio di streaming e replay ma una pochezza di contenuti quasi disarmante. Ed è facile pensare subito dopo all'Italia ad inizio anni '60, ancora all'inizio della propria trasformazione da paese in buona parte contadino a industriale, in cui la trasmissione "Non è mai troppo tardi"  ha contribuito all' alfabetizzazione del popolo più di qualsiasi scuola.

Ecco, so di non essere originale in tutto questo, perchè gente del calibro di Riccardo Luna porta avanti questo esempio da anni, ma credo sia davvero una soluzione auspicabile. Anche se oggi abbiamo grandi possibilità di scelta di canali, fra digitale e satellitare a pagamento, penso che dovrebbe essere proprio la televisione di Stato, magari sul suo primo canale, a prendersi carico di questo compito: se è vero che gli acquisti online crescono sempre di più e i social sono utilizzati in massa vuol dire che tanto difficile usare la rete poi non è. Si potrebbe spiegare internet in modo leggero non solo ai ragazzi, ma soprattutto a chi deve formarli come presidi e insegnanti, magari prima di aprire i pacchi della sera o dello sceneggiato politically correct di turno.

Il mio impatto con Londra è stato devastante per l'utilizzo del WIFI gratuito, e qui ho parlato di tutte le occasioni e nuovi modelli di business che una rete ben distribuita potrebbe dare. A maggior ragione sposo in pieno l'input di Chiara Spinelli che, sempre nel quel post sopracitato, ragiona sull'operazione di marketing che potrebbe svolgere un'azienda attraverso l' "adozione" di una di queste scuole. La convinzione di affrontare in modo strutturato e deciso nuovi mercati attraverso l'online però può esserci solo se la nostra società vive un cambiamento culturale fin dalla sua radice, cioè dall'istruzione scolastica e ancora più da chi ha il potere di guidarla. Si, mi rivolgo molto in alto: se non ha avuto paura di sbilanciarsi Obama al riguardo, perchè dovrebbero limitarsi i nostri politici?


"Servizi web? No grazie. Un sito internet ce l'abbiamo già e Facebook lo gestisce mia nipote quando ha tempo". Risposte del genere, credetemi, la nostra struttura commerciale le riceve spesso da aziende che hanno un mondo di moda e tradizione da insegnarci e una cultura del lavoro invidiabile. Preferei sentirmi dire che hanno visto i miei prodotti e non interessano, perchè hanno strategie diverse.

Se non ci sbrighiamo, rischiamo far perdere opportunità anche a questo Made in Italy: alla lunga la cultura, se non è alimentata, si inaridisce.



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