"Let's dance to Joy Division - And celebrate the irony - Everything is going wrong - But we're so happy" così i Wombats, anni fa rendevano omaggio a modo loro ai Joy Division, gruppo inglese cult degli anni '70.
I Wombats sono un gruppo di Liverpool non troppo conosciuto in Italia, forse neanche fra i migliori dell' ultima ondata indie inglese. Questo loro pezzo spassoso, nel prendere rispettosamente distanza dai Joy Division e da tutto quello che ne è conseguito, ne sottolinea il carattere di influencer per tutti quei musicisti per i quali le tematiche esistenziali, lo spettro della morte e la costante sensazione che "tutto sta andando male" regna sovrano. Insomma, non proprio un clima da dancefloor.
Eppure i Joy Division, con due soli album dal 1976 al 1980, frutto della MadChester di allora (cioè Manchester, una città grande come Bologna, mica come Londra) sono stati capaci di influenzare una serie di signori musicisti fino ai nostri giorni: Sex Pistols, Cure, Echo and the Bunnymen, Strokes, Interpol, Editors, White Lies e chi più ne ha più ne metta. Quante volte ho letto "Joy Division a manciate" nelle recensioni delle mie riviste preferite a proposito di certi gruppi che mi piacevano.
Due album, un prodotto sincero, riconoscibile e fedele alla propria ispirazione.
Ecco, non so perchè, ma a me piace immaginarli sui social network, tutti questi grandi gruppi, ma non con tweet scritti da [staff] o con quei profili ufficiali e verificati di oggi, che sanno un po' di lapidi tombali. Immagino tweet scritti proprio da loro, da Ian Curtis piuttosto che da John Lennon o un Mick Jagger ragazzino, a patto che non parlasse di calcio, visto come ha sempre sgarrato i pronostici.
Immagino i follower dei Beatles o dei Rolling Stones numericamente maggiori rispetto ai Joy Division, ma la capacità dei due gruppi di essere influencer non sarebbe stata troppo diversa, se ci pensate. Magari fra i seguaci dei Beatles ci sarebbero state ragazzine come mia zia pronte a strapparsi i capelli ma non sempre interessate a proporre discussioni o botta e risposta, mentre quello dei Joy Division sarebbe stato sicuramente più attivo intellettualmente, al netto di qualche strampalato poeta maledetto.
Insomma Klout nettamente diverso, ma stesso probabile livello di interazione.
Tutto questo mi ha fatto pensare a come oggi, in questo web incredibilmente vasto e dispersivo, non bisogna rischiare di perdere la propria identità, specie se si fa un lavoro in cui la comunicazione del proprio prodotto è fondamentale. Se faccio web applicato alla moda, al pronto moda o fast fashion per dirla tutta, non posso pretendere di parlare del web in generale come gente che lo fa di mestiere e che mi insegna il personal branding o scrive articoli su Forbes, ma posso rimanere fedele a me stesso, evitando quel concetto quasi masturbatorio che avviene quando i follower inziano a crescere e si avrebbe la tentazione di parlare di tutto, di insegnare loro qualcosa.
Piuttosto, è meglio chiedersi con quanti di essi riuscirò a interagire sugli argomenti che mi stanno a cuore, magari a suscitare prese di distanza garbate, come hanno fatto i Wombats. Dire che fare relazione è più importante rispetto a engagement fine a se stesso non è solo una frase che ho sentito in bocca a qualche "twit-star": è la pura e onesta verità.
E allora è vero che anche i Joy Division insegnano a mantenere forte la propria identità? Secondo me rimanere fedeli a se stessi e al proprio prodotto paga sempre, anche online. Chissà...!? Se Ian Curtis si fosse immaginato questa schiera di proseliti negli anni, forse avrebbe deciso di farsi una birra quel giorno, invece di andare a cantare tutto il suo "disordine" interiore a Nostro Signore.
MB
I Wombats sono un gruppo di Liverpool non troppo conosciuto in Italia, forse neanche fra i migliori dell' ultima ondata indie inglese. Questo loro pezzo spassoso, nel prendere rispettosamente distanza dai Joy Division e da tutto quello che ne è conseguito, ne sottolinea il carattere di influencer per tutti quei musicisti per i quali le tematiche esistenziali, lo spettro della morte e la costante sensazione che "tutto sta andando male" regna sovrano. Insomma, non proprio un clima da dancefloor.
Eppure i Joy Division, con due soli album dal 1976 al 1980, frutto della MadChester di allora (cioè Manchester, una città grande come Bologna, mica come Londra) sono stati capaci di influenzare una serie di signori musicisti fino ai nostri giorni: Sex Pistols, Cure, Echo and the Bunnymen, Strokes, Interpol, Editors, White Lies e chi più ne ha più ne metta. Quante volte ho letto "Joy Division a manciate" nelle recensioni delle mie riviste preferite a proposito di certi gruppi che mi piacevano.
Due album, un prodotto sincero, riconoscibile e fedele alla propria ispirazione.
Ecco, non so perchè, ma a me piace immaginarli sui social network, tutti questi grandi gruppi, ma non con tweet scritti da [staff] o con quei profili ufficiali e verificati di oggi, che sanno un po' di lapidi tombali. Immagino tweet scritti proprio da loro, da Ian Curtis piuttosto che da John Lennon o un Mick Jagger ragazzino, a patto che non parlasse di calcio, visto come ha sempre sgarrato i pronostici.
Insomma Klout nettamente diverso, ma stesso probabile livello di interazione.
Tutto questo mi ha fatto pensare a come oggi, in questo web incredibilmente vasto e dispersivo, non bisogna rischiare di perdere la propria identità, specie se si fa un lavoro in cui la comunicazione del proprio prodotto è fondamentale. Se faccio web applicato alla moda, al pronto moda o fast fashion per dirla tutta, non posso pretendere di parlare del web in generale come gente che lo fa di mestiere e che mi insegna il personal branding o scrive articoli su Forbes, ma posso rimanere fedele a me stesso, evitando quel concetto quasi masturbatorio che avviene quando i follower inziano a crescere e si avrebbe la tentazione di parlare di tutto, di insegnare loro qualcosa.
#JoyDivision nell'era dei social avrebbero avuto meno follower di #onedirection e #Rihanna ma sarebbero stati dei grandi influencer.
— Marco Biancalani (@marcobianca) 23 Settembre 2014
Piuttosto, è meglio chiedersi con quanti di essi riuscirò a interagire sugli argomenti che mi stanno a cuore, magari a suscitare prese di distanza garbate, come hanno fatto i Wombats. Dire che fare relazione è più importante rispetto a engagement fine a se stesso non è solo una frase che ho sentito in bocca a qualche "twit-star": è la pura e onesta verità.
E allora è vero che anche i Joy Division insegnano a mantenere forte la propria identità? Secondo me rimanere fedeli a se stessi e al proprio prodotto paga sempre, anche online. Chissà...!? Se Ian Curtis si fosse immaginato questa schiera di proseliti negli anni, forse avrebbe deciso di farsi una birra quel giorno, invece di andare a cantare tutto il suo "disordine" interiore a Nostro Signore.
MB
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