Sono babbo da solo quattro anni, più o meno da quando è nata Mantica, ma posso già dire di non essere di quelli che immagina per forza la propria figlia in azienda, un domani. A dire la verità non mi immagino nulla al riguardo. Pensieri troppo profondi sull'argomento, a mio avviso, possono portare a grosse disillusioni: basta pensare a Prato, la mia città natale, dove per la generazione precedente della mia era abbastanza normale immaginare il futuro dei figli, figuriamoci se il tessile sarebbe finito.
Invece tutto può cambiare.
Oggi forse c'è troppa crisi, troppa mobilità, troppo mondo ad un'ora o due di aereo da casa per immaginare percorsi professionali come quello di mio babbo, che si è seduto alla sua scrivania nel 1961 e da lì ha diretto un lanificio per più di 50 anni.
A me davvero non interessa che mia figlia diventi programmatrice come me, come a mio padre non è importato che lavorassi nel tessile come lui: vorrei però che fin da piccola avesse la curiosità di osservare le cose e capire che il come funziona a volte è più importante di come farlo. Il processo logico di un programma che prevede un'istruzione if else non é altro che la traduzione (e l'automazione) in termini di coding di semplici decisioni che lei già prende ogni giorno, quando sceglie cosa fare indossare alla sua bambola preferita.
MB
Invece tutto può cambiare.
Oggi forse c'è troppa crisi, troppa mobilità, troppo mondo ad un'ora o due di aereo da casa per immaginare percorsi professionali come quello di mio babbo, che si è seduto alla sua scrivania nel 1961 e da lì ha diretto un lanificio per più di 50 anni.
Proprio il babbo, che si era accorto del trend negativo a metà degli anni '90, non ha mai spinto perché io entrassi in azienda, ma non ha disdegnato il fatto che conoscessi gli aspetti generali del suo lavoro, respirando l'atmosfera della ditta. Orditi, trame, disegni, colori sono stati nella mia vita da sempre e mentre se ci penso mi sembra di respirare l'odore dei plaid e sentire il rumore incessante dei telai che di colpo cessava il sabato pomeriggio lasciando spazio a un silenzio irreale.
Con il web e l'informatica tutto questo non dovrebbe entrarci un tubo e invece guarda un po', ho finito per declinare le mie attitudini tecniche principalmente sulla moda, perché è innegabile che mi trovo a mio agio quando si parla di confezioni, taglie e colori.
La voglia di tramandare le passioni di famiglia e l'amore per il mio lavoro mi hanno portato da subito ad apprezzare l'idea dei Coderdojo, club gratuti che hanno come obbiettivo l'insegnamento dell'informatica per i più piccoli: non vedo l'ora di iscrivere mia figlia a Firenze o Bologna, appena avrà raggiunto un'età ragionevole. Mi chiedo però se faccio bene e penso subito a quei genitori attaccati alla rete di un campo da calcio, che inveiscono contro allenatori e avversari perché convinti che loro figlio sia il futuro Pirlo. Insomma non vorrei caricarla di troppe aspettative, fin da piccola, perché qui tocchiamo il mio ambito professionale: avrebbe tutto il diritto di non capirci nulla o semplicemente di preferire altre cose.
Londra e il mondo anglosassone mi hanno aiutato anche stavolta, con un bellissimo pezzo che ho letto sull'edizione online del Guardian, che già nel titolo esprime il proprio concetto di fondo: "Every child should learn to program, but not necessarily how to code".
Christian Hernandez, autore dell'articolo e abile programmatore, afferma di non essere interessato al fatto che i propri figli imparino linguaggi di programmazione come C++ o il Vb Net fin dalla tenera età: pensare di avere in casa il futuro Mark Zuckerberg o Steve Jobs (o Andrea Pirlo) farebbe piacere a qualunque genitore, ma il punto secondo lui è trovare il modo di fare appassionare i bambini al come funziona la tecnologia intorno a loro (programming) più che focalizzarsi sul coding.
Giochi come Angry Birds, Ruzzle o Pou, i video dei cartoni su YouTube, le videochiamate fatte con FaceTime alle amichette o i nonni in Sicilia: la vera sfida è svegliare in loro la curiosità per la logica di tutto questo e fare venire la voglia di creare qualcosa di simile, come fosse un lavoretto fatto con colla, carta e pasta di sale.
Oggi la programmazione non è più solo righe fitte di codice, ma può essere imparata con linguaggi visuali - tipo Scratch - che definire user-friendly è dire poco: trovo questa evoluzione un incredibile patrimonio messo a disposizione di noi genitori. Internet è un mondo con cui i nostri bimbi dovranno prima o poi fare i conti, un mondo che spero venga sempre più percepito come bene primario nella scuola e nella società: mostrare loro un linguaggio di programmazione visuale sarebbe po' come insegnare pezzi di codice della strada mentre guidano una macchina giocattolo in cortile. Non sarebbe fatica sprecata, visto che prima o poi dovranno guidare per davvero.

Questo significa togliere spazi vitali a mia figlia già in tenera età? Dovrei farle fare solo danza, nuoto o attività ricreative?
Non credo: in fondo respirare l'aria della ditta e sentire parlare fin da piccolo di tessuti, composizioni e colori a qualcosa nella vita può sempre servire.
MB
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