Interessante il fatto che il consorzio NetComm abbia deciso di dedicare una mattinata di lavori allo stato dell' e-commerce business to business (B2B) in Italia: molto spesso si leggono da fonti autorevoli (come Casaleggio Associati) dati e previsioni relative al B2C, identificato in modo più generale come il vero e unico e-commerce. Al suo interno le ulteriori suddivisioni possono riguardare semmai il confronto fra desktop e mobile, ma difficilmente il focus è andato sul complesso mondo del B2B.
La mia esperienza lavorativa mi ha portato ad accompagnare diverse aziende nel mondo dell'e-commerce: trattandosi per la maggior parte di produttori di moda, spesso il B2B (anche se loro la definiscono "Area Clienti" o ancora più semplicemente "Area Riservata") è stato percepito come un'esigenza reale anche nell'era pionieristica del commercio elettronico. In alcuni casi, in particolare nel fast fashion, mi sono trovato di fronte ad aziende che sono state veri precursori. Anche se non avevano idea di come funzionasse un e-commerce, avevano chiaro il perchè servisse un'area B2B: ottenere sempre più risposte dal mercato (oggi si direbbe fare business intelligence), legare i clienti storici, fare engagement in modo costante, non obbligare il cliente a recarsi fisicamente in showroom per riassortire il proprio punto vendita (con conseguenti spese di trasferta) e possibilità di dare ad agenti e buyer uno strumento migliore rispetto alle copie commissione cartacee inviate via fax.
Purtroppo il 4 novembre non ho potuto partecipare all'evento organizzato da NetComm, ma sulla pagina relativa all'evento ho trovato tutto il materiale del convegno, comprese le slide dei relatori. Inoltre, questo articolo sul magazine Engage è stato veramente esaustivo per comprendere tutti gli argomenti di discussione della giornata.
Fa piacere senz'altro leggere del valore attuale (18 - 23 milioni di euro) e della crescita potenziale del settore, specie per chi come me ha incentrato sull'e-commerce B2B il core business della propria azienda. Trovo un riscontro sul campo quando si dice che la maggior parte dei produttori non vedono nel B2B una rivoluzione dei propri modelli di business, ma piuttosto una grande opportunità di crescita. Tradotto per noi addetti ai lavori: multicanalità. Non ho mai trovato un'azienda che si sia basata e ristrutturata sul B2B, neanche quelle che fatturano decine di milioni con questo strumento, tuttavia chi è stato capace di attrezzarsi e prendere il tutto non come "avanza tempo" è riuscito a portare a casa dati e fatturati interessanti.
Se il B2C implica problematiche diverse, ad esempio a livello di gestione dei metodi di pagamento o sulla logistica, spesso il B2B si va a canalizzare in processi aziendali consolidati, basti pensare alle spedizioni.
Un fattore di criticità, come si evidenzia anche nel pezzo di Engage, riguarda la reticenza da parte delle aziende ad assumere personale adibito a questo settore. Chi decide di dedicare un budget a questo nuovo canale di vendita, al solito parte con la piattaforma informatica (e-commerce B2B + collegamento al gestionale nel 70% dei casi) ed una persona "tuttofare" con competenze informatiche per gestire ordini, vendite e assistenza ai clienti: ecco perché questa nuova figura, ultima arrivata in azienda, risulta essere in modo naturale la più competente a livello di utilizzo del web e dei sistemi informatici. Rivoluzionario, se uno ci pensa.
Faccio una digressione per la moda (ma non solo): un altro elemento critico riguarda la gestione dello scatto fotografico. Non sembrerebbe possibile, ma ho visto progetti su B2B rischiare di arenarsi nel momento in cui si comprende che la foto del prodotto non può essere più fatta in casa, come molti fanno inviando le immagini su Whatsapp a buyer o negozianti, magari scattate con la gruccia su un carrello. Fino a poco tempo fa lo still life dedicato al B2B, proprio perché per addetti ai lavori, non veniva quasi considerato dal punto di vista estetico. Oggi la musica è cambiata, c'è poco da fare: i clienti meno evoluti scattano su set professionali e su manichini vuoti (capaci cioè di generare effetto riempimento sul capo), quelli mediamente strutturati hanno una modella o un modello che va in azienda uno o due volte la settimana per fare foto indossate, mentre quelli più evoluti inseriscono sul B2B addirittura dei video catwalk oppure con effetto rotazione 3D. Naturale a questo punto per la maggior parte dei produttori di moda inserire nel proprio organico un'altra figura con competenze fotografiche e di ritocco. Insomma, l'ideale per far partire un reparto web sarebbero almeno due figure: una per la vendita, l'altra per la cura fotografica del prodotto. Da lì ad assumerne altre il passo può essere più o meno breve: dipende dal volume del business da come l'imprenditore intende ponderare i propri investimenti.
L'evoluzione dello scatto fotografico implica anche un'attenzione diversa sulla parte di UI e UX. Insomma, le aree B2B oggi non devono essere più pagine asettiche piene di table e bordi, ma e-commerce a tutti gli effetti, equiparabili a B2C. Le best pratices in fondo sono le stesse, sia sulla ricerca che nella presentazione dell'articolo nella scheda prodotto e con esse le attività più legate al marketing, come i prodotti correlati, gli scelti per te, gli up-selling e i cross-selling, le newsletter personalizzate sui carrelli abbandonati e le offerte del mese. Attenzione alle pagine shopping bag e checkout: lì a mio parere bisogna ragionare su assortimenti in serie, non su scelte di singole taglie colori, concludendo la fase di acquisto con un pre-ordine. Nessun pagamento con carta di credito o PayPal insomma, a meno che le quantità a magazzino non siano quelle reali ed aggiornate in tempo reale con altri canali di vendita.
Un ultimo aspetto che vorrei sottolineare riguarda il grado di soddisfazione di chi decide di avviare un business B2B. Come si sottolinea nell'articolo di Engage, i clienti B2B (che siano commercianti, buyer o distributori) dei produttori di moda mostrano quasi subito una soddisfazione per uno strumento in grado di migliorare il loro lavoro. Questo viene percepito chiaramente anche dall'azienda produttrice, che trae beneficio da questo consolidamento nei rapporti: se poi avvengono richieste per l'accesso all'e-commerce da parte di nuovi clienti (attraverso ad esempio la compliazione di un form sul sito aziendale) il grado di soddisfazione risulta vicino al massimo. Anche nei casi di aziende meno strutturate, il fatturato del B2B è sempre nell'ordine di milioni di euro. Le barriere d'entrata per noi produttori di software risultano quindi più basse rispetto al B2C. Quest'ultima viene percepita da molte aziende come un'opportunità, ma sono diverse anche le resistenze interne: già quando si parla di gestione dei resi su un singolo capo e di tutte le criticità a livello logistico l'entusiasmo tende a smorzarsi.
Il B2B in molti casi ha rappresentato per i miei clienti il primo importante approccio al mondo dell'e-commerce: da lì si è aperta la strada per sito responsive, gestione professionale dei social, B2C e app varie, a seconda dei vari livelli e del potere d'acquisto. La speranza è che le aziende italiane assumano sempre più consapevolezza e fiducia nel settore, investendo in risorse interne e martketplace, specie se ci si vuol affacciare sul mondo asiatico. Dal canto loro, istituti come NetComm o enti di ricerca vari dovranno per forza continuare ad analizzare il B2B come importante branchia del commercio elettronico, con le proprie dinamiche e specificità.
MB
LINK UTILI
Dal sito NetComm:
Purtroppo il 4 novembre non ho potuto partecipare all'evento organizzato da NetComm, ma sulla pagina relativa all'evento ho trovato tutto il materiale del convegno, comprese le slide dei relatori. Inoltre, questo articolo sul magazine Engage è stato veramente esaustivo per comprendere tutti gli argomenti di discussione della giornata.
Fa piacere senz'altro leggere del valore attuale (18 - 23 milioni di euro) e della crescita potenziale del settore, specie per chi come me ha incentrato sull'e-commerce B2B il core business della propria azienda. Trovo un riscontro sul campo quando si dice che la maggior parte dei produttori non vedono nel B2B una rivoluzione dei propri modelli di business, ma piuttosto una grande opportunità di crescita. Tradotto per noi addetti ai lavori: multicanalità. Non ho mai trovato un'azienda che si sia basata e ristrutturata sul B2B, neanche quelle che fatturano decine di milioni con questo strumento, tuttavia chi è stato capace di attrezzarsi e prendere il tutto non come "avanza tempo" è riuscito a portare a casa dati e fatturati interessanti.
Se il B2C implica problematiche diverse, ad esempio a livello di gestione dei metodi di pagamento o sulla logistica, spesso il B2B si va a canalizzare in processi aziendali consolidati, basti pensare alle spedizioni.
Un fattore di criticità, come si evidenzia anche nel pezzo di Engage, riguarda la reticenza da parte delle aziende ad assumere personale adibito a questo settore. Chi decide di dedicare un budget a questo nuovo canale di vendita, al solito parte con la piattaforma informatica (e-commerce B2B + collegamento al gestionale nel 70% dei casi) ed una persona "tuttofare" con competenze informatiche per gestire ordini, vendite e assistenza ai clienti: ecco perché questa nuova figura, ultima arrivata in azienda, risulta essere in modo naturale la più competente a livello di utilizzo del web e dei sistemi informatici. Rivoluzionario, se uno ci pensa.
Faccio una digressione per la moda (ma non solo): un altro elemento critico riguarda la gestione dello scatto fotografico. Non sembrerebbe possibile, ma ho visto progetti su B2B rischiare di arenarsi nel momento in cui si comprende che la foto del prodotto non può essere più fatta in casa, come molti fanno inviando le immagini su Whatsapp a buyer o negozianti, magari scattate con la gruccia su un carrello. Fino a poco tempo fa lo still life dedicato al B2B, proprio perché per addetti ai lavori, non veniva quasi considerato dal punto di vista estetico. Oggi la musica è cambiata, c'è poco da fare: i clienti meno evoluti scattano su set professionali e su manichini vuoti (capaci cioè di generare effetto riempimento sul capo), quelli mediamente strutturati hanno una modella o un modello che va in azienda uno o due volte la settimana per fare foto indossate, mentre quelli più evoluti inseriscono sul B2B addirittura dei video catwalk oppure con effetto rotazione 3D. Naturale a questo punto per la maggior parte dei produttori di moda inserire nel proprio organico un'altra figura con competenze fotografiche e di ritocco. Insomma, l'ideale per far partire un reparto web sarebbero almeno due figure: una per la vendita, l'altra per la cura fotografica del prodotto. Da lì ad assumerne altre il passo può essere più o meno breve: dipende dal volume del business da come l'imprenditore intende ponderare i propri investimenti.
L'evoluzione dello scatto fotografico implica anche un'attenzione diversa sulla parte di UI e UX. Insomma, le aree B2B oggi non devono essere più pagine asettiche piene di table e bordi, ma e-commerce a tutti gli effetti, equiparabili a B2C. Le best pratices in fondo sono le stesse, sia sulla ricerca che nella presentazione dell'articolo nella scheda prodotto e con esse le attività più legate al marketing, come i prodotti correlati, gli scelti per te, gli up-selling e i cross-selling, le newsletter personalizzate sui carrelli abbandonati e le offerte del mese. Attenzione alle pagine shopping bag e checkout: lì a mio parere bisogna ragionare su assortimenti in serie, non su scelte di singole taglie colori, concludendo la fase di acquisto con un pre-ordine. Nessun pagamento con carta di credito o PayPal insomma, a meno che le quantità a magazzino non siano quelle reali ed aggiornate in tempo reale con altri canali di vendita.
Un ultimo aspetto che vorrei sottolineare riguarda il grado di soddisfazione di chi decide di avviare un business B2B. Come si sottolinea nell'articolo di Engage, i clienti B2B (che siano commercianti, buyer o distributori) dei produttori di moda mostrano quasi subito una soddisfazione per uno strumento in grado di migliorare il loro lavoro. Questo viene percepito chiaramente anche dall'azienda produttrice, che trae beneficio da questo consolidamento nei rapporti: se poi avvengono richieste per l'accesso all'e-commerce da parte di nuovi clienti (attraverso ad esempio la compliazione di un form sul sito aziendale) il grado di soddisfazione risulta vicino al massimo. Anche nei casi di aziende meno strutturate, il fatturato del B2B è sempre nell'ordine di milioni di euro. Le barriere d'entrata per noi produttori di software risultano quindi più basse rispetto al B2C. Quest'ultima viene percepita da molte aziende come un'opportunità, ma sono diverse anche le resistenze interne: già quando si parla di gestione dei resi su un singolo capo e di tutte le criticità a livello logistico l'entusiasmo tende a smorzarsi.
Il B2B in molti casi ha rappresentato per i miei clienti il primo importante approccio al mondo dell'e-commerce: da lì si è aperta la strada per sito responsive, gestione professionale dei social, B2C e app varie, a seconda dei vari livelli e del potere d'acquisto. La speranza è che le aziende italiane assumano sempre più consapevolezza e fiducia nel settore, investendo in risorse interne e martketplace, specie se ci si vuol affacciare sul mondo asiatico. Dal canto loro, istituti come NetComm o enti di ricerca vari dovranno per forza continuare ad analizzare il B2B come importante branchia del commercio elettronico, con le proprie dinamiche e specificità.
MB
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